DANIEL OWUSU

La mia casa è in Ghana, ma qui i miei figli possono vivere la felicità

Quando Daniel Owusu è arrivato in Italia non sapeva una parola della nostra lingua e ha trovato lavoro in Fonderie Ariotti come sbavatore, l’unico lavoro in cui non c’era bisogno di parlare. Ha già superato i 50 anni, ma si stenta a credergli perché ne dimostra sì e no quaranta. Ha sette figli: il primo ha 22 anni.

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La sua storia e i racconti del suo passato sono frutto dei viaggi, dei sogni e dei sacrifici di chi lascia il proprio Paese per costruire un futuro di speranza per se stesso e per la propria famiglia. In Fonderie Ariotti un po’ tutti sanno che, all’inizio del suo lavoro, Daniel Owusu percorreva circa 25 chilometri in bicicletta per raggiungere la fonderia: 25 chilometri all’andata e altri 25 al ritorno, un’ora per andare e un’ora per tornare. Con la pioggia, con il vento, con la neve, con il caldo cocente dell’estate. Impresa ardua, anche per chi ha il fisico e la forza di affrontarla.

“A ogni pedalata pensavo ai miei figli – racconta -. Continuavo a ripetermi che lo stavo facendo per loro e che loro dovevano rendersene conto. I miei figli sanno perfettamente gli sforzi che ho fatto e che continuo a fare: spero di dare loro un buon esempio e di invogliarli a darsi da fare perché solo così, un giorno, potranno essere felici”.

Prima di arrivare in Italia, Daniel lavorava in Ghana come meccanico. È arrivato nel bresciano dopo un periodo di lavoro in Francia, e, durante l’intervista, alterna l’italiano all’inglese. Sua moglie e quattro dei suoi sette figli oggi vivono qui con lui, gli altri tre figli sono rimasti in Ghana e Daniel spera di riuscire a farli venire qui per riunire tutta la famiglia. “Viviamo in una casa molto piccola, con sole due stanze da letto, ma cerchiamo di mantenere l’ordine”, dice scoppiando in una risata. “La mia vita è abbastanza dura – continua -. Lavoro in sbavatura, che è tutt’altro che un lavoro leggero, e quando torno casa devo fare il papà e giocare con figli più piccoli, chiedere come è andata a scuola e stare un po’ con loro”.

Il riposo notturno, insomma, è una vera e propria benedizione. E il giorno dopo si ricomincia. “Essere cristiani aiuta ad andare avanti. Pregare Dio, chiedergli aiuto ci fa sentire meno soli”, dice Daniel Owusu. “In Ghana la religione è molto importante. Mio nonno era padre di una sessantina di figli, avuti da donne diverse, naturalmente. Spesso diceva che i maschi dovevano fare i maschi e che al resto ci pensava Dio”. Daniel racconta questi aneddoti con il sorriso, ma è evidente che parlare dell’Africa accende in lui la nostalgia. “Ghana is home”, dice in inglese battendosi un pugno sul cuore. Gli occhi diventano lucidi: “Il Ghana è la mia casa ed è lì che vorrei ritornare. Un giorno, chissà…”

Del suo Paese gli mancano i parenti, gli amici, il dialetto. Qui, nel bresciano, dice di non sentirsi completamente libero perché spesso la gente non capisce quello che dice. “In Ghana se vado in un ufficio mi capiscono tutti, qui a volte ho bisogno del traduttore, non è bello però lo accetto. In Italia so che i miei figli possono diventare quello che vogliono”, continua lo sbavatore. “Qualche volta mi sento chiamare ‘negro’, in fila al supermercato per esempio. Faccio finta di non sentire perché altrimenti rischio di litigare e non me lo posso permettere. Se mi arrestano chi bada alla mia famiglia?” Daniel lo dice ridendo, quasi come fosse una battuta, ma il peso di quello che dice è forte. “Qui, comunque, mi sono fatto degli amici – aggiunge -. Ho amici africani, rumeni, italiani, di tutte le nazionalità. Anche le partite a calcetto aiutano a fare amicizia”.

Le differenze fra l’Italia e l’Africa sono tante, differenze culturali, di usi e costumi. Daniel ci racconta che nel suo Paese, prima di uscire la mattina per andare a scuola i bambini devono fare qualcosa per aiutare i genitori: sistemare la casa, lavare i panni dei fratelli, chiedere di cosa c’è bisogno per la giornata. “I miei figli sanno bene quali sono le differenze e in casa aiutano la mamma, lo devono fare perché io non ci sono quasi mai”, continua il suo racconto Daniel Owusu.

“Fra di noi parliamo molto, nonostante il tempo sia poco e la stanchezza tanta cerchiamo di trovare sempre il tempo per parlare guardandoci negli occhi.” “Ogni giorno ripeto ai miei figli che devono imparare bene l’italiano per trovare il lavoro che desiderano, essere indipendenti e felici”.

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