ILIE DANCIU

Un curriculum nella cassetta della posta, alle spalle la Romania e il lavoro in miniera

C’è la buona volontà, c’è la pazienza e c’è la costanza, che fanno raggiungere la serenità. E poi ci sono le persone, le relazioni che sappiamo costruirci attorno, gli aiuti che diamo e che riceviamo, la “rete” di valori che costruiscono il presente e pongono le basi per la vita dei nostri figli e per la nostra vecchiaia. Tanto che, alla fine, in qualunque posto ci si trovi, se si creano tutte queste condizioni, ci si sente a casa.

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Ilie ha tanto da raccontare. La sua è una vita ricca di esperienze. Forse, nel reparto di verniciatura, dove si trova a lavorare da solo, ogni tanto pensa a quand’era in miniera, in Transilvania, oppure a quando è stato costretto a lasciare suo figlio appena nato in Romania per venire in Italia. Ma, adesso, a 47 anni e dopo 21 trascorsi in Italia, considera sua patria anche questa terra, perché qui ci sono i suoi figli, sua moglie, i suoi amici, il suo lavoro, la sua casa, il suo mondo di relazioni e di affetti.

Qui ha acquisito l’accento bresciano, qui si indigna quando vede che la politica del (oramai suo) paese si basa troppo spesso su favoritismi, giochi di potere, condoni, decreti ad hoc. Ilie – Elio, per gli amici e i colleghi – è in Italia dall’agosto del 1999, da quando aveva 27 anni. Subito dopo il diploma di meccanico, per dieci anni, dai 16 ai 26, ha lavorato in miniera. A sette chilometri di profondità. Era una miniera di piombo, zinco e oro. “In Romania – ci spiega – non era come qui da noi, che ti diplomi e resti in un parco giochi per un sacco di tempo. Io avevo una borsa di studio già prima di finire la scuola. Ho firmato il contratto e sono rimasto in miniera per dieci anni”. Poi il comunismo è caduto, e la miniera ha chiuso. “Mi hanno dato una buonuscita – continua Ilie – con cui mi sono comprato il visto per l’Italia e per raggiungere mio cugino Petru.

Con Petru siamo amici prima che parenti, siamo cresciuti assieme, anche lui ha lavorato in miniera”. Prima di partire per l’Italia, però, Ilie si è sposato con Cornelia e hanno avuto un bambino. “Quando sono arrivato in Italia mio figlio aveva nove mesi, è stato molto doloroso lasciarlo”. Cornelia ha raggiunto il marito nel 2001. “Stavamo da Petru, in quattro. Mio figlio Ilie, si chiama come me, è rimasto da solo in Romania fino all’età di cinque anni. Ho trovato una baby sitter ungherese così lui ora sa parlare anche l’ungherese! È stata dura qui senza di lui, mandavamo i soldi, i dolci, regali, poi finalmente ci siamo riuniti”.

All’inizio non è stato facile in Italia: prima il lavoro da manovale, poi da saldatore, in seguito da carpentiere. “Quando hai la buona volontà e ti piace fare, fai. Anche se è stato difficile perché non sapevo la lingua”, ci racconta. Poi l’arrivo in Fonderie Ariotti: “Sapevo che c’erano delle possibilità, ho scritto il mio curriculum, l’ho messo dentro la loro cassetta della posta e ora sono qui da sette anni”. Era il 2012; un anno dopo è entrato in Ariotti anche Petru. In fabbrica Ilie sta bene, anche se “ci sono persone con cui fai fatica ad andare d’accordo – ammette -, perché sono persone legate a cose minime. Non c’è differenza tra me e gli altri, africani o italiani. Ci sono solo i più furbi e tutti gli altri”. “Mi vergogno quando sento alla tv “un rumeno ha rubato o ha commesso questo o quello…” Sto male, perché so che la gente mi accomuna a queste cose, ma io sono una persona come tutti gli altri. Mi piace il lavoro, la mia casa e la mia famiglia, non c’è nient’altro”.

Oggi Ilie vive con la sua famiglia a Sarnico. Il tempo libero lo passa a casa, spesso nel garage a fare piccoli lavori. Ogni tanto va in chiesa, anche se ortodosso, ma “per me, Dio è uno solo per tutti”. Il figlio Ilie ha 21 anni, si è diplomato in ragioneria e lavora per la Coldiretti, dai 14 anni è volontario per la Protezione Civile, si impegna con la Croce Blu, ama stare con gli altri. “Se sposasse una ragazza di colore non direi nulla – dice il padre –, siamo tutti uguali. E lui si sente italiano, della Romania non vuole saperne, i suoi amici e la sua vita sono qui”. La figlia Larisa, di 13 anni, invece, alla Romania ci pensa. “Sente i nostri discorsi di nostalgia e allora le viene voglia di andare lì. Quando andiamo a trovare la nonna, una volta all’anno, lei si diverte, corre nei campi, ci sono le mucche, le pecore, il fieno”. Il futuro? “Non lo so come sarà il futuro, sono sereno. Quando vado in Romania mi rattristo perché sono tutti pensionati, i giovani sono scappati tutti, la classe politica che c’è adesso è un disastro. Ma se penso alla mia vecchiaia, il pensiero va là… Magari, quando i figli saranno grandi, quando non avranno più bisogno del nostro aiuto…”

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