MOHAMMED ALBAB

Il mio destino era l’Italia, il paese dell’integrazione e della libertà

Per Mohammed Albab l’Italia è il luogo della libertà. Lo cogli, tra una riga e l’altra del suo racconto, lo vedi dalla postura rilassata, dal sorriso. Lo percepisci dal vezzo – tutto voluto – di usare il “ne” tipico della cadenza bresciana come intercalare. Ha girato l’Europa Mohammed: è partito dal Marocco ed è andato in cerca del suo futuro prima in Spagna, poi in Svizzera, in Germania, in Polonia. In Italia si è fermato, perché qui “c’era l’integrazione”, ci tiene a precisare.

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Mohammed ha 50 anni e in Fonderie Ariotti ricopre il ruolo di addetto alle spedizioni. In fonderia ci è arrivato nel 1995. “Qui mi trovo bene – dice – e nessuno mi ha mai mancato di rispetto”. Si sente di appartenere alla fonderia, qui il suo spirito libero ha messo radici. In qualche modo, la sua storia si è fermata tra questi blocchi di ghisa: non solo un luogo di lavoro, ma anche una famiglia, la sua famiglia di elezione, soprattutto nei momenti più bui e difficili della sua vita.

“Non sono uno che le manda a dire e sono un istintivo, reagisco se vedo che c’è qualcosa che non va – ci racconta con fermezza –, ma ci tengo a dire che per tutta la vita ringrazierò la famiglia Ariotti per ciò che mi ha dato”.
Il senso di appartenenza di Mohammed a questa azienda e a questa terra nasce da lontano, dal suo passato, ed è tanto più forte quanto più sono numerose le esperienze vissute dall’uomo: “Sono partito dal Marocco nel 1989, avevo 21 anni. Mi affascinava la storia dell’Europa, il capitalismo dei Paesi più importanti e sviluppati, l’arte, la cultura. In Marocco studiavo, ho frequentato il primo anno di università nella facoltà di lingue a Mohammedia, una città sul mare. Ho studiato l’inglese e il francese. Poi ho ottenuto un visto per entrare in Francia, me ne sono andato”. Mohammed ripercorre con la mente i suoi vent’anni, i suoi viaggi: “Sono stato in molti posti diversi. Ho voluto andare a visitare Auschwitz, in Polonia, per capire, per vedere con i miei occhi”.

Poi, il destino in Italia. Erano gli anni della legge Martelli, che ha dato la possibilità di avere il permesso di soggiorno con maggior facilità rispetto a oggi. “Nel mio primo lavoro vendevo ferro a Palazzolo – continua Mohammed -. Poi ho cercato un lavoro migliore, avevo le mie aspettative: sono passato in un’azienda di Adro dove verniciavo le travi e facevo l’aiuto-elettricista. Dopo questo lavoro, ho cominciato a fare il muratore per qualche anno, ma la crisi dell’edilizia si è fatta sentire. Così sono riuscito a trovare un posto in Fonderie Ariotti”.

La fonderia è una grande famiglia, ribadisce Mohammed, dove si può trovare solidarietà e aiuto anche di fronte a un dramma familiare come la separazione dalla moglie: “Non è stato facile – racconta -. La separazione mi ha lasciato senza soldi. Ho dovuto ricominciare da capo. Ho tre figli nati qui: la più grande, Amira, ha 24 anni e studia lingue all’università di Bergamo, il secondo, Omar, frequenta l’Itis, il terzo, Adam, fa ancora le scuole elementari, ma oggi non li vedo molto, vivo da solo”. “Alle volte gioco a basket, prendo la bici e faccio lunghe pedalate. I miei amici mi hanno aiutato moltissimo; sono tutti italiani, non marocchini, non ho amici marocchini. Non sento la diversità, credo nel rispetto delle regole, e temo, invece, l’ignoranza. Non mi piace il vittimismo: se vai in un supermercato e non lasci il posto a un nero che è davanti a te lui dice ‘ecco, sei razzista’, ma qualche volta si tratta solo di vittimismo”. 

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