PETRU DANCIU

Se le persone non si adattano a me, mi adatto io a loro

Petru Danciu è arrivato in Italia dalla Transilvania alla fine del 1997. Dopo soli tre giorni aveva già un lavoro. “Ero a Seriate. Ho cominciato a lavorare in una ditta edile – ci dice – dove sono rimasto per sei mesi. Poi sono andato a lavorare in un‘altra ditta, sempre nel settore edile. Non mi sono trovato bene”.

Le aziende si sono rivelate poco serie: non lo pagavano e, imbrogliandolo, gli hanno fatto firmare documenti in cui dichiarava di rinunciare alle paghe arretrate.

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Nel 2000 è stato raggiunto in Italia dalla fidanzata, si sono sposati in Comune, a Sarnico, ma dopo poco la moglie è stata espulsa dall’Italia ed è stata costretta a tornare in Romania. Ci è voluto un anno e mezzo per fare il ricongiungimento. A queste situazioni travagliate se ne sono aggiunte altre: qualche anno dopo, alla moglie hanno diagnosticato un tumore all’utero. Poi le cure, la perdita di due gravidanze.

La terza gravidanza è andata bene, dopo sette mesi è nato Davide, che oggi ha 17 anni. Cinque anni dopo un’altra gravidanza. “Pensavo fosse un nuovo tumore – racconta Petru – ero terrorizzato. Poi, invece, è nato Alessandro!”.
Nel frattempo, in Italia, Petru è stato raggiunto dal cugino Ilie Danciu, un caro amico prima che un parente. Per entrambi si è presentata l’opportunità di fare un colloquio di lavoro in Fonderie Ariotti. “Ho messo il mio curriculum dentro la cassetta della posta della fonderia e mi hanno chiamato”, ci racconta. Ma, ancora una volta, il destino mette i bastoni fra le ruote. Petru non è riuscito a presentarsi perché è dovuto tornare in Romania dal padre morente. Al suo rientro la possibilità di lavorare in Ariotti sembrava sfumata. Petru e la moglie sono rimasti qualche tempo ospiti in casa di Ilie. Poi, finalmente, proprio quando stava per decidere di tornare in Romania, si è aperta una nuova possibilità in fonderia. Era il 2013.

Petru ha gli occhi buoni. La vita non è stata per niente benevola con lui, niente è stato facile. Eppure, una sorta di umiltà intrinseca, una specie di inconscia adattabilità a qualsiasi sofferenza, tipica della gente di montagna, hanno reso quest’uomo di 50 anni pronto ad affrontare tutto. Con la saggezza di chi ha patito molto. “In fonderia sto bene, se hai bisogno di aiuto, lo trovi sempre. Magari a qualcuno sono poco simpatico, ma se le persone non si adattano a me, mi adatto io a loro”. “Lavoro nel reparto di Distaffatura – continua Petru -. Nel mio gruppo siamo un rumeno, un italiano e un africano. Tra noi tre non ci sono mai stati problemi. La cosa bella in Ariotti è che sei responsabile di quello che fai, di quello che succede nel tuo reparto. L’azienda va bene, il clima è buono, non tornerei indietro”.

Non è l’odio nei confronti dello straniero a preoccupare Petru. “Noi, in fondo, non possiamo cambiare niente. Penso tanto al futuro dei miei figli, che oramai sono e si sentono italiani. Oggi ai discount ci sono tutti italiani, prima erano tutti stranieri; ecco, questo è preoccupante perché sono i disagi economici che portano all’odio tra le persone”. La patria, per Petru, resta la Romania. “Ma so che per i miei figli è l’Italia. Il mio futuro lo vedo qui. Mio figlio Alessandro gioca con Mustafà, un bimbo marocchino, e poi con altri bambini kosovari. Abito in un condominio di sei appartamenti dove ci sono tre famiglie di colore, due rumene e una cubana. Qualche volta ci incontriamo per mangiare una pizza. Se mio figlio Davide sposasse una senegalese, direi, vabbè, la vita è questa, siamo tutti uguali. L’importante è che ci sia il lavoro e che tutti ci diamo da fare per migliorare la società in cui viviamo”.

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